Parto con l’arsura di chi ha respirato a secco per un anno intero.
Fluoro e deumidificatore, bei tempi.
Ho fatto il conto delle cose rilevanti occorse in questi dodici mesi semi-invernali.
Un trasloco. Un lavoro pro-pagnotta. Molte liti. Un racconto ben riuscito. Poche traduzioni. L’italiano a Larissa. Uno spezzone di documentario su un camion carico di doni per la Siria. Un corto dopo il Bataclan. Ho usato la voce. Ho scritto un western. Ho chiamato Pippo Franco. Ho toppato le riprese del videoclip di una sorella e ho ricominciato da capo. Ho aperto questo Blog. Aura visiva. Affinità elettive. Affinità elettive naufragate. Nina Cassian. Colite.
Mi merito qualcosa.
Sei femmine in vacanza non sono una buona idea. Forse lo sarebbero per un titolo. Tutto è prossimo al melodramma, con sei donne in vacanza.
Guido fino a Monopoli, dove chi ci affitta la casa vuole offrirci un caffè. Niente da dichiarare a tal proposito. Sei donne. E se un giorno torni a casa e trovi il condizionatore acceso, le finestre aperte e le luci puntate sul salone allora sicuramente è entrato un ladro, nella fattispecie, il padrone di casa su cui si ricamano sospetti sin dalla prima stretta di mano. Una donna non dimenticherebbe mai che risparmiare energia elettrica è fondamentale e semmai una sola delle sei provasse a mettere in discussione l’ipotesi intrusione, allora quella più suscettibile lo prenderà come un attacco personale. – Mi stai forse dando della negligente?-
Niente, nemmeno un monsone, niente e ripeto niente potrebbe farmi franare dalle braccia di un dio dal cuore pugliese, nemmeno sei donne in vacanza. C’ho pure il cognome pugliese e no, non sono di Bari ma mio padre è nato a Brindisi, che devi fa’.
M’assale il dubbio che qua il punto non sia tanto il caffè. E nemmeno le sei donne in vacanza. Qua il punto è trovare il corrispettivo del cappuccino e cornetto prettamente romani e dargli un nome. Ho provato a più non posso. Tutti i Bar di Monopoli. Ho chiesto agli autoctoni dove -dove stanno le cose buone per voi, cosa sono le cose buone per voi-.
Ognuno una storia, ognuno una teoria. Li ho pregati di esimersi dal voler fare bella figura con lo straniero –si, so’ buoni i cornetti a La Nave, ma voi, dove andate? – Ho documentato le loro storie tutti i giorni, intersecandole con le mie e non mi ripeterò. Tutto pareva mediocre eccetto, appunto, le storie. Al Bar, qui, a Roma, io sorrido, sorrido molto a chi mi capita davanti e il più delle volte vengo ricambiata. Lì è diverso. Puoi sorridere, chi te lo vieta, ma sulla corrispondenza ho cominciato a notare qualcosa di interessante che risiede in una spaccatura netta tra l’impassibilità e la verbalizzazione. O rispondono – Ciao Ninni- o rimangono di gesso.
Ho capito qualcosa con L’ESPRESSINO. Ho chiesto e m’hanno detto che sarebbe un cappuccino di dimensioni ridotte. Ho lasciato Monopoli e la Valle dell’Itria con la pancia piena di pesce, non so perché ma La Capria nel cervello con il suo Ferito a morte, il mare a picco sulla piazza del centro storico, bianco ovunque, pietra ovunque. Poi, Salento. Grande paura d’aver toppato. Quando l’estetica di un posto è affidata agli oleandri c’è forse da sussultare. Oleandri, ti volti, costruzioni lasciate a metà, immerse in uno squallore che non vuoi. Marittima di Diso, ma sulla mappa non è chiaro niente se non la vicinanza con Tricase. Passeggio molto. Pranzo con un gelato. La camera ce la affitta Gildo, dentro casa sua. Gildo ha un figlio, più d’uno, ma uno è lì per qualche giorno di vacanza. C’è odore di pulito ovunque. Passeggio e penso che tre giorni saranno forse troppi. Passeggio meglio. Il giudizio m’ha sempre precluso lo stupore e lo mando a ‘fanculo tenacemente. D’altra parte m’ha garantito la pietà, che adesso è il sentimento che più m’è caro.
Perdono la spocchia e m’innamoro. Della tipa di Padova che s’è aperta bottega qua e fa i bicchieri di centrifuga a 50 centesimi, di Gildo che quando si confonde con il prezzo che abbiamo trattato per la stanza scuote la testa e ricomincia da capo, di sua moglie che non ha età, del muro rimasto a riposo, dell’amore dei vecchi per i neonati, dello stesso vigile che su un metro di corso fischietta senza pretesa, dell’affollamento in piazza per la sagra della frisella, della compassione che questa gente ha per se stessa, di come Alessandro suona il tamburello e di come ha imparato; perché lui il tamburello l’ha comprato, ma fino a un certo punto non riusciva a suonarlo. Si feriva le mani. Finché non è andato a San Rocco e dopo aver passato la notte con i tamburellisti di Torrepaduli, è tornato a casa e ha preso il via, tanto che guardarlo è uno shock.
Ma veniamo al Bar. Perché è qui che trovo l’oro. Non in un Bar ma in un forno. Nei pasticciotti crema-amarena. E nella miscela del caffè Quarta, che ho capito essere il caffè pugliese per eccellenza, tutto il resto è noia. L’ultimo caffè devo berlo da Avio, a Lecce. Lo prendo col ghiaccio che in gergo significa sciroppo di mandorla, cremetta, zucchero e appunto, ghiaccio.
Adesso sì.
Grazie per tutto. Gildo
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